Fratture del condilo-occipitale
La frattura del condilo occipitale è stata descritta per la prima volta da Charles Bell nel 1817. Le forme stabili hanno scarsa rilevanza clinica, ma in alcuni casi le fratture del condilo, soprattutto se bilaterali o associate ad altre lesioni legamentose, possono causare grave instabilità del complesso cranio-cervicale.
CLASSIFICAZIONE DI ANDERSON E MONTESANO:
TIPO I: è una frattura comminuta del condilo, con minima o assente scomposizione dei frammenti. Il meccanismo è una compressione assiale sul condilo e la frattura è considerata stabile in quanto, pur potendo essere lesionata l’inserzione del legamento alare omolaterale sull’occipite, e le altre strutture capsulo-legamentose sono integre;
TIPO II: è una frattura della base del cranio la cui rima raggiunge il condilo. Il meccanismo è analogo a quello della frattura della base cranica e la stabilità del passaggio cranio-cervicale non è alterata, a meno che una grossa porzione di occipite non venga separata;
TIPO III: è l’avulsione di un frammento del condilo da parte del legamento alare. Costituisce il 75% dei casi segnalati in letteratura. Il meccanismo è di sollecitazioni da taglio, da inclinazione laterale e/o da rotazione, isolate o in varia combinazione. La membrana tectoria e il legamento alare controlaterale potrebbero essere lesionati per cui la lesione è potenzialmente instabile;
Dissociazione occipito-cervicale
Le dissociazioni occipitocervicali traumatiche risultano molto spesso letali.La diagnosi mediante radiografie standard è difficile a causa della scarsa visualizzazione ossea di quest’area. Tra le valutazioni comuni vi sono il rapporto di Powers e l’intervallo basion-epistrofeo basion-dente dell’epistrofeo di Harris.La sensibilità delle radiografie standard è di circa il 57%, quella della TC è dell’84% e quella della MRI dell’86%. TC e/o MRI sono raccomandate per i soggetti con sospetta dissociazione occipitocervicale.
Classificazione:
Tipo 1 (anteriore);
Tipo 2 (longitudinale);
Tipo 3 (posteriore);
Trattamento:
Sono da evitare le trazioni, che si associano a un tasso di peggioramento neurologico del 10%.Nei pazienti con lesioni che consentano la sopravvivenza, viene raccomandata la fusione occipitocervicale.
Fratture dell’atlante (C1)
Le fratture dell’atlante costituiscono il 7% di quelle della colonna cervicale.Le fratture classiche di Jefferson (da scoppio) sono fratture bilaterali degli archi anteriore e posteriore di C1 dovute a carico assiale (Figura 3).La stabilità a lungo termine dipende dal meccanismo e dalla guarigione del legamento trasverso.Sulla base dei dati derivanti da cadaveri, uno spostamento laterale della massa > 7 mm (8,1 mm con l’ingrandimento radiografico) è indicativo di una rottura del legamento trasverso.La MRI ha aumentato la sensibilità nell’identificazione delle rotture dei legamenti.
Classificazione:
Le lesioni di tipo 1 sono rotture di midsubstance del legamento trasverso;
Le lesioni di tipo 2 implicano una frattura da avulsione del legamento;
Trattamento:
Le fratture isolate degli archi anteriore e posteriore, della massa laterale e del processo trasverso dell’atlante possono essere trattate in maniera non chirurgica, mediante immobilizzazione esterna per 6-12 settimane.
Le fratture da scoppio coinvolgenti gli archi anteriore e posteriore, con un legamento trasverso intatto (masse laterali con sporgenza laterale combinata < 7 mm), sono considerate lesioni stabili e possono anche essere trattate mediante sistemi d’immobilizzazione esterna.
Uno spostamento combinato della massa laterale > 7 mm è indicativa di una lesione del legamento traverso e di un trauma instabile.Si può prescrivere riposo a letto con trazione al fine di ridurre lo spostamento laterale.Va preso in considerazione il passaggio a un halo-vest a 6 settimane, qualorasiapossibile mantenere la riduzione.Si possono prendere in considerazione soluzioni chirurgiche: l’utilizzo di viti nelle masse laterali di C1 è ora ampliamente accettato, e consente la saldatura diretta delle fratture senza sacrificare la motilità. La fusione occipito-cervicale costituisce un’opzione ragionevole, ma sacrifica in maniera significativa i movimenti.
Fratture dell’epistrofeo (C2)
Le fratture del processo odontoideo sono le più comuni, tra quelle di questa vertebra.
Sono responsabili del 10-15% delle fratture della colonna cervicale.
Classificazione di Anderson-d’Alonzo:
Le fratture di tipo 1 sono dovute ad avulsione della punta del dente;
Le fratture di tipo 2 si verificano a livello del corpo del processo odontoide;
Le fratture di tipo 3 si estendono al corpo vertebrale di C2.
Trattamento:
Fratture di tipo 1 – Sono fratture stabili e trattabili mediante ortosi cervicale, una volta esclusa la possibilità di una dissociazione occipito-cervicale.
Fratture di tipo 2 – Per queste, il trattamento dipende in gran parte dalle caratteristiche della frattura e dalla popolazione di pazienti.
Nei soggetti anziani, l’immobilizzazione con halo-vest è scarsamente tollerata e presenta dei bassi tassi di guarigione. Questi pazienti andrebbero presi in considerazione per una fusione precoce di C1-C2. Nei soggetti non in grado di tollerare un intervento chirurgico, un’ortosi esterna può consentire la fusione fibrosa e un’adeguata stabilità per le attività routinarie della vita quotidiana.
ii. Nei pazienti più giovani e sani, sono le caratteristiche della frattura a dettare il trattamento.
(a) Fratture non scomposte – Andrebbero trattate mediante immobilizzazione con halo vest per 6-12 settimane. I fattori di rischio per il mancato consolidamento comprendono la comminuzione della frattura, il ritardo nella diagnosi e un’età del soggetto > 50 anni. Per i pazienti che presentano tali fattori di rischio si può prendere in considerazione un trattamento chirurgico precoce.
(b) Fratture nelle quali non sia possibile ottenere o mantenere la riduzione – Deve essere preso in considerazione il trattamento chirurgico. Il posizionamento di una vite nella parte anteriore del dente, utilizzando la tecnica della vite lag, può rappresentare un’opzione per le fratture di tipo 2 minimamente comminute. Per ottenere risultati migliori occorre una diagnosi precoce della frattura, l’ottenimento della riduzione e un habitus del paziente in grado di consentire un’applicazione corretta della vite. In caso contrario, il trattamento chirurgico prevede la stabilizzazione posteriore di C1-C2 con varie strutture a base di cavi e viti. Strutture più rigide possono evitare l’immobilizzazione postoperatoria necessaria con halo-vest.
Fratture di tipo 3 – Queste lesioni sono solitamente stabili, e vanno trattate con un’ortosi cervicale per 6-12 settimane.
Spondilolistesi traumatica dell’epistrofeo
Questa lesione è caratterizzata da fratture bilaterali della pars interarticularis (frattura del boia).Il meccanismo porta a una combinazione di iperestensione, compressione e flessione di rimbalzo.
Classificazione di Levine ed Edwards:
Le fratture di tipo I sono dovute a compressione e a iperestensione dell’asse, e mostrano una dislocazione < 3 mm senza angolazioni;
Le fratture di tipo II sono dovute a iperestensione e a carico assiale seguiti da flessione di rimbalzo, e mostrano una traslazione > 3 mm con angolazione;
Le fratture di tipo IIa sono caratterizzate da un’angolazione senza traslazione significativa, e sono dovute a lesioni da flessione-distrazione. Il riconoscimento di una frattura di tipo IIa può essere difficile, ma è fondamentale in quanto l’applicazione della trazione può dislocare ulteriormente la frattura, e ciò deve essere evitato;
Le fratture di tipo III sono quelle di tipo I associate a una lesione delle faccette articolari di C2-3, solitamente dislocazioni bilaterali delle faccette. Queste fratture sono dovute a flessione-distrazione seguita da iperestensione.
Trattamento:
La maggior parte dei pazienti può essere trattata con successo mediante immobilizzazione esterna con halo vest, oppure con un’ortosi cervicale per 6-12 settimane. Dislocazioni fino a 5 mm possono verificarsi senza la rottura dei legamenti posteriori o del disco in C2-3.Le indicazioni chirurgiche comprendono le fratture di tipo II con angolazione severa, quelle di tipo III con rottura del disco in C2-3 e/o spostamento della faccetta, o l’impossibilità di ottenere o mantenere la riduzione della frattura. Le opzioni chirurgiche comprendono la fusione intersomatica C2-C3, quella posteriore C1-C3 o viti bilaterali nella pars interarticularis di C2.
Fratture e lussazioni della colonna vertebrale subassiale (da C3 a C7)
Classificazione:
a. Il sistema di classificazione più comunemente utilizzato per i traumi della colonna vertebrale subassiale è quello di Allen-Ferguson;
b. Sono descritte 6 diverse classi sulla base del meccanismo della lesione, e ogni classe è suddivisa in stadi di gravità progressiva
Le tre categorie più frequentemente osservate sono la flessione da compressione, la distrazione in flessione e l’estensione da compressione.
Meno comune è la compressione verticale.
Le categorie meno frequenti sono la distrazione in estensione e la flessione laterale.
Trattamento dei tipi di lesioni più comuni
a) Le lesioni da carico sull’asse comprendono le fratture da compressione, quelle da scoppio e quelle a goccia.
Le fratture da compressione sono provocate da un carico assiale in flessione, con cedimento della metà anteriore del corpo senza interruzione della corteccia posteriore, e con un rischio minimo di danno neurologico. La maggior parte di queste lesioni è trattabile mediante immobilizzazione esterna per 6-12 settimane. È possibile prendere in considerazione la fusione per evitare la cifosi, qualora l’angolazione superi gli 11°, oppure in presenza di una riduzione d’altezza del corpo vertebrale > 25%.
Le fratture cervicali da scoppio sono provocate da un forte carico compressivo; solitamente risultano associate a una SCI completa o parziale da retropulsione di frammenti della frattura nel canale spinale. Il trattamento delle fratture cervicali da scoppio è determinato dallo stato neurologico. Per i soggetti con deficit neurologici, il miglior trattamento è rappresentato dalla decompressione anteriore e dalla ricostruzione con posizionamento di innesti strutturali e placche. Nel caso di una lesione posteriore di rilievo, è necessaria una fusione posteriore supplementare con ingabbiamento.
Le fratture a goccia devono essere distinte dalle avulsioni a goccia, relativamente benigne, che corrispondono a lesioni d’estensione relativamente minore con un piccolo frammento osseo fuoriuscito dall’attaccatura dell’anulus della limitante somatica anteriore, che può essere trattata con l’utilizzo di ortosi cervicali per 6 settimane. La frattura a goccia è una lesione da carico in flessione assiale caratterizzata da una frattura della parte antero-inferiore di una vertebra, in quanto portata caudalmente e in flessione, provocando la retropulsione del resto del corpo vertebrale all’interno del canale spinale. Il trattamento delle fratture a goccia è simile a quello delle fratture cervicali da scoppio.
b) Fratture-lussazioni delle faccette
Vi è generale consenso sul fatto che, a prescindere dal deficit neurologico, il soggetto cosciente e vigile possa essere sottoposto in sicurezza a riduzione chiusa con trazione progressiva. I pazienti devono essere sottoposti ad attento monitoraggio con esami neurologici seriati. L’insorgenza di nuovi deficit neurologici o il peggioramento di quelli esistenti rappresenta un’indicazione a interrompere la riduzione chiusa.
L’imaging di risonanza magnetica (MRI) è indicato in soggetti nei quali la riduzione chiusa abbia fallito, e in quelli obnubilati. Anche i pazienti trattati efficacemente mediante riduzione da svegli devono essere sottoposti a MRI, per verificare l’assenza di materiale discale o di ematomi. In presenza di una significativa ernia del disco, va effettuata una decompressione anteriore prima della riduzione posteriore definitiva e/o della stabilizzazione.
Una volta ridotta, la frattura-lussazione è stabilizzata.
(a) Lussazione monolaterale delle faccette – Queste lussazioni possono risultare stabili in posizione ridotta e andare incontro ad auto-fusione con un periodo d’immobilizzazione (12 settimane), ma è necessario un monitoraggio attento.
(b) Lussazione bilaterale delle faccette – Il trattamento standard prevede la stabilizzazione chirurgica. In passato venivano preferite procedure posteriori, trattando la struttura lesa in maniera migliore dal punto di vista biomeccanico e anatomico. L’approccio anteriore ha dimostrato di raggiungere un’adeguata stabilità clinica grazie ai nuovissimi sistemi di posizionamento di placche. Attualmente, gli approcci anteriore e posteriore rappresentano valide alternative.